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Casistica guasti su vetture Elettriche ed Ibride

Le ibride e le elettriche sono ormai vetture entrate a far parte del parco veicolare italiano a tutti gli effetti. Questo vale in special modo per le auto ibride (le HEV e le PHEV), con numeri veramente importanti: le immatricolazioni nel 2021 hanno superato quelle delle diesel, con un incremento del 123% rispetto all’anno precedente.
Seppur in misura minore, anche le full electric (le così dette BEV) hanno conquistato una bella fetta di mercato, con circa 50.000 consegne che rappresentano il 3,7 % del totale. Questa importante crescita nelle immatricolazioni è supportata dal crescente numero di case automobilistiche che hanno introdotto nella loro gamma modelli elettrici ed ibridi plug-in presenti sul mercato.
Quindi cambia anche lo scenario di officine e carrozzerie, con l’entrata di nuove vetture e, di conseguenza, anche di nuove problematiche da affrontare e risolvere.
 
Da un punto di vista diagnostico, si inizi col dire che la SAE ha riservato un set di codici guasto specifici, proprio in virtù del particolare sistema di trazione e gestione di queste vetture.
Tale gruppo di DTC è il P0AXX, formato da un codice comune (il P0A) e le “X” che definiscono le sotto varianti dei guasti, il quale va a descrivere le avarie del power train ibrido ed elettrico.
Uno dei guasti più comuni e diffusi è originato da problemi al plug di servizio (o di sicurezza) del circuito di alta tensione, il quale agisce come un interruttore generale. Infatti rimuovendolo, si opera un interruzione fisica dell’alta tensione, operazione compiuta per ragioni di sicurezza e/o di servizio (ad esempio, lavori e manutenzioni da effettuare sul veicolo).
Il codice guasto associato è il seguente:
P0A0D e P0A0A - Circuito di interblocco sistema alta tensione.
Alle volte, si tratta solamente di un errato riposizionamento, ossia viene montato ma senza chiudere il blocco meccanico del plug (l’ultimo scatto di chiusura).
 

Plug di servizio Toyota (2019)
 
In altre circostanze, risulta saltato il fusibile interno, che può essere presente o meno all’interno del dispositivo (come quello mostrato in figura).
In seconda battuta, sono abbastanza frequenti le avarie sul sistema di raffreddamento delle batterie di alta tensione, che possono essere ad aria forzata (tramite un ventilatore dedicato) oppure ad aria climatizzata, sfruttando l’impianto A/C delle vettura. Inoltre sono presenti più sensori NTC di temperatura per il controllo dello stato termico della batteria.
È bene notare che se la batteria non viene più raffreddata, per questioni di sicurezza e di protezione della stessa batteria, la centralina del sistema ibrido disattiva l’alta tensione, con il conseguente fermo vettura.
I codici guasto associati a tale problema sono:
P0A9B e P0AAC: temperatura rilevata dal sensore inferiore a -45 °C. interruzione o cc verso alimentazione;
P0A85: Circuito controllo raffreddamento ventola 1 pacco batteria ibrida valore alto;
P0A82: differenza temperatura della batteria stimata dal funzionamento dell'elettroventola diversa da quella misurata dai sensori.
 
I guasti possono essere generati da malfunzionamenti dei sensori (danni a cablaggi, connettori o corto circuiti), dal ventilatore fuori uso, dai componenti del circuito clima che gestiscono il raffreddamento delle batterie o semplicemente da ostruzioni dei condotti di ventilazione.
 
I sistemi di alta tensione delle ibride ed elettriche sono dotati di due o tre relè di potenza (a seconda del costruttore) che gestiscono l’inserimento dell’alta tensione a bordo vettura. In alcuni casi, si possono verificare anomalie anche su tali contattori, accompagnati da questi DTC:
P1B77 - alta tensione, corto circuito a massa (sistemi Kia – Hyundai);
P0AA1-00 e P0AA4-00: contattore positivo o negativo batteria ibrida/ev bloccato in posizione chiusa;
Nel primo caso, il danno è provocato da un corto circuito elettrico sui uno dei relè o della piastra di alloggiamento, causato da sovraccarichi di potenza o da laschi della connessione.

 
Contattore parzialmente fuso (sistema Kia – Hyundai)
 
Se invece non viene trovata una visibile traccia di danneggiamento, il malfunzionamento della piastra è dovuto semplicemente ai relè che non commutano più.
Infatti in caso di blocco (a cui si riferiscono i DTC successivi), allora i guasti sono generati quando i contatti del relè si elettro saldano a causa di una scarsa velocità in chiusura (si forma un arco elettrico tra i contatti di potenza del relè di amperaggio sufficiente a generare una saldatura): dato che il comando dei relè viene dato in 12 V, ciò è dovuto ad un’alimentazione in bassa tensione non sufficiente (ad esempio, la batteria al piombo della vettura non più efficiente).
 
Un guasto invece di tipo puramente “diagnostico”, si presenta quando la vettura subisce un evento di crash. La centralina del sistema ibrido, sempre per ragioni di sicurezza, disconnette i contattori di potenza tagliando l’alta tensione sulla vettura, questo per scongiurare che eventuali cavi danneggiati possano generare corti circuiti tali da produrre correnti così elevate da innescare l’incendio delle batterie agli ioni di litio (notoriamente molto pericolose sotto questo punto di vista). Per gli impianti FCA (Jeep, Fiat, Alfa Romeo), siffatta situazione codifica un guasto specifico, il P167B-00: spegnimento del sistema controllato.
L’errore non è conseguenza di un’avaria in particolare ma viene codificato perché si renda necessario ed obbligatorio un reset diagnostico possibile soltanto dopo aver riparato la vettura ed aver ripristinato il corretto isolamento della parte in alta tensione.
 
Per i veicoli full electric Renault, che comprendono sia vetture che mezzi commerciali, esiste una problematica specifica, legata ad un’avaria del PEB (Power Electronic Box).
Il PEB assolve a due compiti fondamentali, ossia quelli di trasformare la tensione continua in alta tensione, proveniente dalla batteria agli ioni di litio, in tensione alternata per alimentare il motore di trazione e in bassa tensione per alimentare gli utilizzatori del veicolo.
 

Figura 3: Power Electronic Box Renault Zoe
 
Il fuori uso della vettura è accompagnato dal DTC 103196 – Convertitore di tensione, originato da una rottura di una delle sezioni elettriche del PEB.
Per convertire l’alta tensione da continua a trifase per il motore elettrico di trazione e per abbassarla da quasi 400 V a 14 V per le utenze, il PEB utilizza un trasformatore interno che si danneggia, in particolare si spezza di netto il traferro in materiale ferromagnetico di cui è composto.
 
 
 

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Impianto SCR, problematiche e metodi di verifica sull'impianto AdBlue e in particolare sulle sonde NOX

Un sistema di Riduzione Catalitica Selettiva (SCR, Selective Catalytic Reduction) è un sistema per l’abbattimento dei NOx nei gas di scarico nei moderni motori a combustione.
Generalmente è composto da un serbatoio di urea (l’agente “riducente”) o denominato commercialmente AdBlue (AdBlue® è un marchio registrato di Verband der Automobilindustrie e.V, VDA), il quale è dotato di apposita pompa, indicatore di livello e riscaldatore, un catalizzatore dedicato ed un’apposita elettrovalvola dosatrice (iniettore AdBlue). Inoltre, il sistema include dei componenti per il controllo dell’efficienza del sistema, quali sensori di temperatura e misuratori di concentrazione di ossidi di azoto (sonde NOx). Di solito il controllo dell’impianto è integrato nella centralina motore, ma in alcuni casi è montata una ECU specifica (DCU, Dosing Control Unit).
Gli impianti SCR recenti sono più complessi, in quanto possono prevedere due o tre sonde NOx, due iniettori AdBlue (come ad esempio il sistema Volkswagen) e diversi sensori di temperatura.
Un requisito fondamentale di buon funzionamento è sicuramente la qualità dell’AdBlue utilizzato, il quale deve avere una miscelazione del 32,5 in percentuale di acqua distillata ed urea tecnica in alta qualità (cioè con bassi contenuti di metalli, calcio, biureto etc.), come da specifiche ISO 22241 e DIN 70070. Ma spesso l’accensione della spia AdBlue o “Service” è dovuta ad altre cause.
Tra i motivi più frequenti di guasto ci potrebbe essere un errore nella lettura del livello di urea nel serbatoio: anche se si è effettuato il pieno o un semplice rabbocco, il livello visualizzato sul quadro strumenti (ove disponibile) e quello letto tra i parametri diagnostici rimane lo stesso. Attenzione, però, perché può accadere anche esattamente il contrario, ossia che il serbatoio risulti pieno o parzialmente pieno ma in realtà essere quasi vuoto!
Ciò è dovuto alla presenza di cristallizzazioni di urea sul sensore di livello che ne impediscono la normale misurazione; questo fenomeno spesso avviene quando il contenuto di AdBlue nel serbatoio è di frequente basso, condizione che favorisce la formazione di residui fissi (calcare o cristalli di urea).
In tal caso si può tentare una pulizia del serbatoio (dato che il sensore non è separabile) tramite semplice acqua tiepida addizionata con prodotti per la pulizia specifici e ripristinare il funzionamento del misuratore di livello.
Ma se il problema persiste, la soluzione è quella di sostituire l’intero serbatoio, con un esborso economico non indifferente. In questi casi, è bene ricordare che potrebbe essere necessaria una procedura diagnostica di reset o di apprendimento del nuovo serbatoio.
Per i serbatoi, inoltre, esiste una casistica guasti ben precisa che coinvolge le vetture del gruppo PSA, più o meno riconosciuta dalla casa madre. A causa di un difetto costruttivo, gli sfiati del serbatoio tendono ad ostruirsi così da determinare, con lo svuotamento del serbatoio, una progressiva depressione che ne provoca una lesione dell’involucro, danneggiandolo irrimediabilmente. È inevitabile che il serbatoio debba essere sostituito, ma qui la spesa è ancora maggiore in quanto questa unità integra anche una sezione elettronica di gestione.

Figura 1: serbatoio AdBlue gruppo PSA
 
Infine, sempre per quanto riguarda il livello, è importante attenersi anche alle capienze massime del serbatoio, ossia non riempire oltre la capacità indicata dal costruttore: questo perché il serbatoio deve avere in ogni caso un certo spazio libero per permettere l’aumento di volume del liquido in caso di congelamento (che avviene a -11° C). Quindi la quantità da immettere per arrivare a fare il pieno va sempre calcolata rispetto a quella già presente nel serbatoio.
 
All'interno del nostro Forum potrete trovare contenuti aggiuntivi quali:
Guasti riconducibili alla pressione d’esercizio insufficiente con DTC P20E8
Sonde NOx con codice errore P06EB
 
 

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Olio motore, trasmissione e antigelo nei veicoli: differenze tra viscosità e perché vanno rispettate

Alcuni dei componenti più importanti di un motore e di una trasmissione sono rappresentati dai fluidi di lavoro con i quali essi operano, ossia i lubrificanti ed i liquidi di raffreddamento.
Tali fluidi naturalmente hanno un certo grado di usura ed invecchiamento, aspetti richiedenti quindi una regolare manutenzione che assume un’importanza vitale per qualsiasi motore o trasmissione. Oltre alla regolarità, però, una buona manutenzione esige anche l’utilizzo dei materiali corretti.
È basilare impiegare oli e liquidi di raffreddamento con le specifiche idonee, per cui è altrettanto fondamentale conoscere quale esse siano e come vengano diversificate.
 
I lubrificanti


Principalmente gli oli lubrificanti sono composti da oli base (miscela di idrocarburi o di sintesi (sintetica) e additivi, la percentuale dei componenti dipende dall’uso specifico che si fa degli oli in produzione.
Un olio base (la cui frazione può variare fra il 70 % e il 99 % della composizione totale del lubrificante) è classificato principalmente in quattro tipi diversi: basi minerali (gruppo I), basi minerali idrogenate o semisintetiche (gruppo II e III), basi sintetiche (gruppo IV), come ad esempio i PAO (polialfolefine) o gli oli poliglicoli (la sintesi chimica non è altro che la ricostruzione delle molecole dell’olio base effettuata in laboratorio) e le basi rigenerate alle quali appartengono i lubrificanti che vengono raccolti dai consorzi di oli usati che, dopo accurate procedure di ri-raffinazione e ri-additivazione del prodotto, vengono reimmesse sul mercato.
Ma la vera e sostanziale differenza viene creata dagli additivi, che possono ammontare dall’1% fino al 30 % della composizione dell’olio.
I pacchetti di additivazione vengono aggiunti da ogni singola casa costruttrice di lubrificanti secondo criteri "autocertificati" e si generalizza distinguendoli tra sintetici, nanotecnologici, semi-sintetici e minerali.
Gli additivi possono svolgere azione antischiuma, prolungare la vita del lubrificante, avere proprietà detergenti e disperdenti ostacolando la formazione e l’accumulo di lacche e morchie, inibitori della corrosione, inibitori dell’ossidazione, riduzione degli attriti, miglioratori di viscosità.
Miscelando i due componenti (oli base + aditivi) si possono ottenere vari risultati in ordini di prestazioni caratteristiche e peculiarità dell’olio.
È evidente che le tipologie di lubrificante possono essere davvero tante, quindi per distinguere e conoscere le caratteristiche di un olio è necessario ricorrere ad una classificazione.
La classificazione SAE è una delle più note ed utilizzate, tiene conto della viscosità di un olio a bassissime temperature e a 100 °C. Quindi dà un idea intuitiva ed immediata delle prestazione dell’olio motore, in particolare nell’avviamento a freddo (anche a temperature bassissime) e del funzionamento a temperatura di esercizio di un motore (100 °C).
È possibile classificare oli multigrado, cioè in grado di garantire la lubrificazione di tutti i componenti e la tenuta idraulica dell’olio stesso per ampi range di temperatura ed oli monogrado, che mantengono un certo indice di viscosità in un intervallo di temperatura molto ridotto (però oggi non sono più impiegati per i motori).
La classificazione a freddo viene seguita dalla lettera W (sta per WINTER) in quanto è una caratteristica che riguarda principalmente il funzionamento invernale e a freddo dell’olio, mentre il riferimento a 100 °C non è seguito da nessun simbolo. Il limite di questa classificazione è che tiene conto della sola viscosità.
La specifica SAE degli oli multigradi è composta da due numeri preceduti dalla dicitura SAE, in cui il primo indica la viscosità a freddo mentre il secondo quella a caldo, in entrambi i casi misurata in cP (centi Poise, che è l'unità di misura nel sistema CGS della viscosità dinamica).
Esempio:
o   SAE  10W-40
o   SAE  15W-50
o   SAE  80W-90
Invece la classificazione degli oli mono grado è composta da un solo numero preceduto dalla dicitura SAE:
o   SAE 75
o   SAE 35
o   SAE 90
Per gli oli monogrado non è classificato il secondo range di funzionamento perché in questa classificazione mancante l’olio non può lavorare.
 

Figura 1: classificazione oli SAE
 
 
Un olio può essere classificato anche tramite la norma API (American Petroleum Institute) e tiene conto della qualità intrinseca dell’olio e non solo della viscosità. Il lubrificante viene sottoposto ad una serie di test, determinandone così la classificazione.
Per cominciare, divide gli oli in 5 categorie, considerando anche i lubrificanti per le trasmissioni:
o   S (Service, API S), per veicoli a benzina;
o   C (Commercial, API C), per veicoli diesel;
o   F (API F), per veicoli diesel di recente costruzione a basso livello emissivo;
o   GL (Gear Lubricant, API G), oli per trasmissioni automatiche;
o   M (Manual Transmission, API M), oli per trasmissioni manuali.
 
Poi assegna una seconda lettera che va da “A” a salire seguendo l’ordine alfabetico ed indica la severità dei test superati dall’olio, determinando quindi il livello prestazionale dell’olio stesso. Ad esempio, si può avere un olio SM (benzina) o CJ (diesel) e CF (diesel ad iniezione indiretta).
Per i motori a gasolio, la seconda lettera può essere seguita a sua volta da un numero, per indicare specifiche applicazioni tipo CI-4 (diesel 4 tempi) o CF-2 (diesel 2 tempi).
Tanto più è avanzata la seconda lettera tanto migliore è l’olio. Di conseguenza l’olio di qualificazione più alta soddisferà tutte le specifiche precedenti.
Ad oggi le classificazioni per i motori a benzina sono arrivate sino a “SP” (Maggio 2020, ideato per prevenire la pre accensione a bassa velocità) e per i diesel a CK-4, formulato per lavorare con gasoli a tenore di zolfo fino a 500 ppm e particolarmente efficaci per allungare la vita dei sistemi di post trattamento dei gas di scarico e dei filtri DPF.
Si compone i due caratteri, una lettera che sta ad indicare le varie tipologie di motore e da un numero che determina i diversi usi ed applicazioni all’interno della classe stessa determinata con la lettera.
Un ulteriore classificazione è quella riferita ad ACEA (Associazione Costruttori Europea Automobili), la quale prevede 4 differenti standard in funzione della motorizzazione adoperata e del tipo di impiego.
È formata da lettere e numeri:
– A/B (ACEA AX/BX): benzina (A) e gasolio (B), con il numero “X” che può variare da 1 a 5. Il numero crescente indica un crescente e migliore grado di protezione;
– C (ACEA CX): anche qui il numero “X” può variare da 1 a 5, adatto per i motori con post trattamento dei gas di scarico e che richiedono un olio a basso contenuto di ceneri;
– E (ACEA EX) utilizzato per i veicoli commerciali, qui invece il numero “X” può andare da 4 a 9.
 
A differenza della classificazione API, un numero alto non sta obbligatoriamente a significare una migliore performance dell’olio, il numero determina solo il campo di utilizzo, è importante quindi in caso di sostituzione dell’olio attenersi alle specifiche dettate dal costruttore del veicolo.
 

Figura 2: classificazione oli ACEA
 
Non si dimentichino, inoltre, le specifiche approvazioni dei costruttori, generalmente realizzate secondo dei test ancora più severi.
Sono caratterizzate da una sigla con l’acronimo della casa costruttrice ed una serie di numeri. Per Volkswagen, per esempio, si ha 504.00 (per motori benzina Euro 4) oppure per FCA il codice FIAT 9.55535-S1 (motori Diesel con sistemi di post trattamento dei gas di scarico, con caratteristiche Fuel Economy ed allungamento dell'intervallo di cambio).
Per i cambi manuali si usano le designazioni API GL, che vanno da GL-1 a GL-5, dove il numero crescente indica una progressiva resistenza dell’olio alla pressione degli ingranaggi senza che questi vengano a contatto. La maggior parte dei moderni cambi utilizza le GL-5. Inoltre, esiste anche la specifica MT-1, che però è destinata alla classificazione di oli per i cambi manuali non sincronizzati di autobus e veicoli per il trasporto pesante.
Per i cambi manuali vengono usate anche le specifiche SAE, con la medesima logica utilizzata per gli oli motore, dove però la viscosità non è rappresentata nella stessa maniera. Per fare un esempio, un olio per cambi di tipo 75W-90 corrisponde ad un olio motore 10W-40.
Le trasmissioni automatiche impiegano oli ATF (Automatic Transmission Fluid), che possono essere essenzialmente designati tramite le specifiche proprietarie della GM (Dexron).
Anche Ford detiene proprie specifiche (Mercon), ma sono quelle meno utilizzate.
La Dexron è divisa nelle categorie Dexron, Dexron II, IID e IIE, Dexron III e Dexron VI, con caratteristiche crescenti in termini di qualità.
Per ciò che riguarda Ford la classificazione è composta dalle specifiche Ford Type F, Mercon e Mercon V.
Altra caratteristica di diversificazione per un ATF è la colorazione (tramite additivo): esistono oli verdi e rossi (più diffusi) ma anche gialli, viola e blu.
Per gli automatici non si devono dimenticare le specifiche dei costruttori dei cambi dato che ogni trasmissione ha caratteristiche molto peculiari. Vale quindi la regola che ogni cambio ha il proprio olio ed in virtù di questo, sono forse ancor più rilevanti delle specifiche descritte poco prima.
Le sigle usate sono le più disparate e seguono classificazioni interne del costruttore. Per una trasmissione Aisin, per portare un esempio, si può avere un olio Aisin JWS3309/AW1, per uno ZF l’olio LifeguardFluid 8 (ZF No. S671 090 312). In generale, a tali specifiche fanno poi riferimento tutte le designazioni dei costruttori dei veicoli.
In merito ai cambi ZF, può essere utile consultare un documento ufficiale in cui sono elencati i lubrificanti per tutte le trasmissioni manuali, doppia frizione ed automatiche per autovetture, scaricabile a questo indirizzo: https://aftermarket.zf.com/remotemedia/lol-lubricants/lol-it/lol-te-ml-11-it.pdf
 
 
I liquidi di raffreddamento
Così come per i lubrificanti, anche per i liquidi di raffreddamento (comunemente detti “antigelo”, termine però non appropriato) sono fondamentali le specifiche ed ogni motore deve lavorare con il liquido idoneo. Ogni buon liquido di raffreddamento deve ovviamente sottrarre calore ma anche lubrificare e proteggere dalla corrosione.
Sono costituiti da una soluzione di acqua e glicole propilenico o etilenico oppure glicerina a cui è aggiunto un proprio pacchetto di additivi. Le sigle che li distinguono sono tre: G11, G12 e G13, differenziate innanzitutto dal colore.
Il liquido G11 è ormai obsoleto, in uso fino agli anni ’90. È di colore blu/verde (verde petrolio). Non è adatto per motori con monoblocco e radiatore in alluminio.
Al G12 vanno affiancate ulteriori due classi, le G12+ e G12++ e sono liquidi più evoluti rispetto al precedente, in cui non vengono più usati silicati e fosfati, attualmente impiegati su tantissime vetture (incluse anche le ibride). Il colore è il rosso per il G12, mentre è rosa molto intenso per i G12+ e G12++.
Il liquido più recente è il G13 (dal 2008), che viene realizzato con glicerina al posto del glicole ed è riconoscibile dal colore viola.
Un aspetto da tenere fortemente in considerazione è la miscibilità dei diversi liquidi, specie quando si opera un rabbocco. Infatti non tutti possono essere mescolati, pena la formazione di morchia ed intasamento nel circuito o la riduzione dell’efficacia degli additivi (specie quello anticorrosione). Quindi la scelta del liquido deve essere sempre quella giusta e mai approssimativa.
La tabella riportata è un pratico vademecum per controllare le possibili miscibilità. 
 

Figura 3: miscibilità liquidi raffreddamento
 
 
 

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Anomalie, diagnosi e verifica Alternatori "Intelligenti" (gestiti da Controllo Motore)

In una moderna automobile, definire l’alternatore una semplice macchina elettrica deputata alla conversione dell’energia meccanica in energia elettrica è quanto mai riduttivo.
Sebbene l’alternatore continui, naturalmente, a svolgere il compito di generatore di tensione che alimenta elettricamente tutti i sistemi e la batteria della vettura non è di certo lo stesso componente utilizzato nelle auto di qualche anno fa.
L’alternatore è stato oggetto di importanti evoluzioni che, di fatto, hanno reso possibile definirlo “intelligente”, cioè in grado di variare il proprio funzionamento in base alle condizioni al contorno.
In sostanza, questi nuovi alternatori possono variare la tensione di carica, fino ad arrivare alla completa disattivazione quando il loro funzionamento non è più strettamente necessario. È noto che l’alternatore impiega parte dell’energia meccanica sviluppata dal motore a scoppio per generare energia elettrica. La gestione della carica permette allora di ottimizzare il rendimento del motore endotermico in termini di carburante utilizzato e, quindi, di emissioni inquinanti.
Per verificare e risolvere eventuali anomalie di funzionamento, occorre conoscere come è cambiata la gestione di un alternatore di questo tipo.
 
In linea generale, l’alternatore prevede una tensione di ricarica compresa tra 12,6 V (alternatore disattivato) e 15 V.
Dopo l'avviamento del motore viene dapprima effettuata una carica rapida con tensione elevata, fino al riconoscimento di uno stato di carica sufficientemente alto della batteria. La ricarica rapida avviene con una tensione di 15 V e può durare per un tempo variabile da 20 secondi fino ad un’ora, a seconda della carica della batteria (Fase B).
Si passa successivamente ad una caratteristica di carica in funzione della temperatura esterna e della richiesta di potenza dei carichi elettrici a bordo vettura (Fase C). In tale fase, la carica varia da 13,5 V fino a 15 V, quindi sarà del tutto normale osservare una tensione generata che risulta variabile.
Nella fase successiva (Fase D), quando la batteria ha raggiunto l’80 % di carica l’alternatore può regolarsi sulla soglia minima di carica per arrivare anche alla completa disattivazione, in quanto gli assorbimenti elettrici degli utilizzatori possono essere supportati anche dalla sola batteria.
Infine (Fase E), l’alternatore torna di nuovo ad una carica di 15 V trasformando parte dell’energia cinetica, che viene resa disponibile dal veicolo in fase di rilascio dell’acceleratore, in energia elettrica. È la fase di recupero dell’energia, che così massimizza il rendimento energetico della vettura.

Figura 1: grafico modalità di carica
 
A= Avviamento motore


B= Carica rapida


C= Carica in funzione della temperatura e carichi vettura
D= Gestione alternatore


E= Carica nella fase di rilascio.
La gestione dell’alternatore è possibile grazie ad un regolatore di carica diverso, il quale è collegato solitamente con la ECU motore (oppure una specifica centralina di gestione della carica) tramite una rete LIN (rete di comunicazione digitale a singolo filo, a bassa velocità), attraverso la quale riceve i comandi di carica da impostare e lo stato elettrico della vettura. L’alternatore avrà quindi un piccolo connettore a cui è collegato il filo di linea LIN.
Ma un ruolo altrettanto fondamentale viene svolto dal sensore IBS (installato sul polo negativo della batteria) che misura costantemente tensione e corrente di ricarica e la temperatura della batteria. Anche il sensore è collegato su rete LIN, che può essere la stessa dell’alternatore o una dedicata.
Grazie a queste informazioni (e a quelle provenienti dall’intero veicolo), la centralina iniezione imposta i comandi per l’alternatore in base ad un mappatura ben distinta.

Ai fini diagnostici, occorre innanzitutto riconoscere se trattasi di un alternatore intelligente; per farlo in maniera certa basterà verificare la presenza o meno del collegamento LIN. Ad ulteriore conferma, se si stacca il connettore di quel piccolo filo, in diagnosi si avrà sicuramente un errore di comunicazione LIN, come ad esempio l’errore U1801 – LIN bus segnale/ messaggio fallito.
Dato che questi alternatori possono impostare una tensione di carica assai variabile, la prima verifica da eseguire è osservare se lo stesso alternatore sia guasto o meno. Allora la prova più semplice è quella di sconnettere il cavo di rete LIN: in tal modo, non ricevendo più informazioni sulla richiesta di potenza elettrica, l’alternatore imposta una modalità di recovery iniziando una carica a 14 V – 14,5 V costanti, anche se in quel momento fosse disattivo. Si ha quindi un chiaro riscontro sulla sua funzionalità. La LIN può essere staccata sull’alternatore o più comodamente sul sensore IBS.
Se l’alternatore non carica, si può ipotizzare anche un guasto sulla rete LIN.
Come detto, questa rete dati è monofilare e di tipo digitale, nella quale vengono trasmessi treni di segnali ad onda quadra, quindi la verifica del segnale può essere fatta tramite un oscilloscopio che però ne rivelerebbe solamente la presenza ma non ci darebbe modo di interpretarne il messaggio. Per cui la verifica è di tipo quantitativo e non qualitativo. Allora, per il controllo può essere sufficiente anche un multimetro con il quale è possibile analizzare la tensione presente sulla rete e la continuità del cablaggio. Questo è possibile per le analisi esposte di seguito.
Essendo la LIN una trasmissione digitale con ampiezza variabile tra poco più di 0 V e la tensione di alimentazione della vettura, il multimetro, attraverso una misura in Volt sul filo della linea, rileverà una tensione che è la media dell’ampiezza del segnale ma che comunque rappresenta un feedback sulla sua presenza.

Figura 3: Oscillogramma del segnale rete LIN (solo quadro accesso)
 
Come puoi diagnosticare la rete LIN di un alternatore intelligente?
Scoprilo seguendo alcuni semplici controlli nel FORUM !!
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Evoluzione sistema iniezione motori Firefly

Gli sviluppi tecnici nella meccanica e nell’elettronica seguono le evoluzioni delle normative antinquinamento. Ciò comporta l’adozione di dispositivi e strategie atti a soddisfare i nuovi limiti sulle emissioni e sugli inquinanti, specialmente nell’ottica del nuovo e severo ciclo guida WLTP (Worldwide Harmonized Light vehicles Test Procedure) e delle prove su strada RDE (Real Driving Emissions), con il quale sia il particolato che gli ossidi di azoto vengono rilevati con prove reali su strada. In quest’ottica FCA ha progettato e realizzato delle nuove unità a benzina denominate “Firefly” (in continuità, anche nel nome, con il vecchio ma glorioso “Fire” uscito di produzione qualche tempo fa).
Sono pertanto propulsori benzina che vanno a rimpiazzare i vecchi 0,9 TwinAir e 1.4 MultiAir.
Caratteristica interessante di questi motori è quella di essere concepiti con strategia modulare, sulla stregua quanto già fatto da BMW e VAG negli ultimi anni. Per maggior chiarezza, la cubatura di un singolo cilindro è identica tra i due motori, tre o quattro cilindri, permettendo così notevoli risparmi in termini di unificazione dei componenti e delle linee di produzione.
Le prime versioni che hanno visto la luce sul mercato europeo sono il 1.0 da 120 CV ed il 1.3 da 150 e 180 CV, tutti con moduli MultiAir, quattro valvole per cilindro e turbocompressi.
Tra le novità più di rilievo di queste unità benzina si annoverano l’iniezione diretta, l’intercooler raffreddato a liquido (integrato nel collettore di aspirazione) e la wastegate elettrica del turbocompressore.
Proprio perché presenta interessanti innovazioni tecniche, alcune utilizzate per la prima volta dal gruppo FCA ed altre che invece costituiscono una novità assoluta rispetto anche agli altri costruttori, si veda più nello specifico come è fatto e come funziona l’impianto di iniezione benzina.
Il sistema di iniezione diretta di questi Firefly è composto da una pompa di bassa pressione, una centralina che ne governa il funzionamento ed una pompa meccanica di alta pressione.

Figura 1: schematizzazione sistema iniezione diretta
 
L’alimentazione di benzina sul ramo di bassa viene assicurata dalla pompa elettrica ad immersione nel serbatoio, all’interno della quale troviamo un regolatore meccanico di pressione, un filtro ed una valvola di non ritorno.
La prima novità di rilievo è costituita dal fatto che la portata e la pressione della benzina vengono regolate da una centralina apposita collocata sul passaruota posteriore destro. Per accedervi occorre smontare la ruota ed il passaruota.

Figura 2: Centralina pompa benzina di bassa pressione
 
 

Figura 3: Centralina pompa benzina di bassa pressione, particolare
 
I parametri di lavoro della pompa (portata e pressione) sono coordinati da questa centralina sulla base delle informazioni scambiate con la centralina motore.
Lo scambio informazioni tra la centralina motore e quella della pompa avviene tramite un PWM in arrivo al pin B e un feedback di rimando in uscita dal pin F del connettore della centralina pompa stessa.
La bassa pressione è monitorata da un apposito sensore, accessibile dal vano motore, ubicato nelle vicinanze del duomo destro.

Figura 4: Sensore di bassa pressione carburante, particolare
 
Per quanto attiene all’alta pressione, la pompa meccanica viene azionata da una camma posta sulla coda dell’asse a camme, subito dopo la ruota fonica del sensore di fase.

Figura 5: pompa di alta pressione benzina con regolatore di pressione
 
Nella pompa è integrato un regolatore di pressione di tipo N.A. Ciò vuol dire che, se non pilotato, la pressione nel rail è minima.
La modulazione della suddetta pressione si ottiene strozzando il rifiuto della pompa in fase di spinta dello stantuffo. In questo modo al rail viene indirizzato solo il quantitativo necessario di benzina e il surplus ritorna in ingresso alla pompa.
In caso di guasto il motore fatica all’avviamento, riuscendo comunque ad avviarsi ma non sale di giri poiché la pressione nel rail è fissa a 5 bar.
L’altra novità è rappresentata dalla tipologia di sensore di alta pressione posto sul rail (è ubicato sopra il collettore di aspirazione), il quale è dotato di un connettore a quattro fili. Questo per via della presenza di un doppio segnale di pressione.

Figura 6: sensore pressione rail
 
In caso di guasto il motore si avvia ugualmente ma vengono generati due codici guasto, il P0192: “sensore pressione carburante sul rail, pressione bassa” e il P01C0 “bassa tensione sul circuito sensore “B”, pressione condotto di distribuzione carburante”.
L’impianto raggiunge una pressione di picco sul rail di 200 bar, mentre la bassa pressione resta compresa tra i 5,5 e i 6,5 bar.
I due segnali emessi dal sensore sulla base della pressione letta nel rail lavorano in plausibilità, in maniera del tutto analoga a quanto accade ad esempio per un corpo farfallato.
Gli iniettori sono installati sul rail e prevedono che l’accoppiamento tra l’iniettore e la testata avvenga attraverso una guarnizione in teflon, la quale deve essere sostituita ogni qualvolta si smonti l’iniettore.
Formano un unico blocco che si estrae tutto insieme; per rimuovere il singolo iniettore si sgancia la relativa mollettina.
Normalmente l’apertura avviene durante la fase di aspirazione, ma nei transitori di riscaldamento e durante le fasi di richiesta di potenza l’iniezione viene raddoppiata: una durante l’aspirazione e l’altra alla fine della fase di compressione.
 
 
 

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Difetti Auto

Tipologie, diagnosi e struttura dell'impianto ibrido delle vetture Mild Hybrid (48 V)

A metà strada tra una vettura convenzionale con solo motore termico (denominata con la sigla ICE, Internal Combustion Engine) ed una di tipo ibrido (detta anche Full Hybrid o HEV, Hybrid Electric Vehicle) si pone una vettura definita Mild Hybrid.
Le distinzioni tra le diverse tipologie vengono fatte a seconda del sistema di trazione utilizzato e dal tipo di management dell’energia elettrica.
Per la trazione, le vetture ICE utilizzano l’unico motore a disposizione, ossia quello a combustione interna e non hanno nessun dispositivo di natura elettrica per la marcia del veicolo. La batteria montata a bordo è quella al piombo acido, sebbene possa distinguersi tra una normale SLI, una Heavy Duty oppure un’AGM.
Le Full-Hybrid impiegano uno o due motori elettrici dedicati e batteria ad alta tensione che permettono la trazione della vettura in elettrico fino ad una determinata velocità e/o distanza percorsa oppure in accoppiamento con la trazione offerta dal motore termico.
La batteria ad alto voltaggio viene ricaricata nelle fasi di marcia sfruttando il motore termico, mentre in decelerazione e frenata tramite il motore elettrico. Per le ibride in versione Plug-In, la carica può anche e soprattutto avvenire tramite una presa elettrica dedicata che sfrutta una sorgente di energia esterna (ad esempio una colonnina).
Il discorso cambia per una Mild Hybrid (o ibrido «medio» MHEV), che rappresenta una soluzione tecnica di tipo ibrido parallela, molto diversa. Un sistema ibrido parallelo è un’architettura caratterizzata da un nodo meccanico di accoppiamento della potenza che permette ad entrambi i motori (elettrico e termico, benzina o diesel) di fornire coppia alle ruote.
Nel Mild Hybrid, tale sistema è composto da:
Una macchina elettrica denominata BSG (Belt Starter Generator), funzionante a 12 – 24 – 48 Volt; Un convertitore DC/DC; Una batteria agli ioni di litio a 12 – 24 – 48 Volt; Una batteria a 12 Volt convenzionale.  
Si deve pensare ad una Mild Hybrid come ad un’autovettura dotata di due impianti elettrici distinti (“sezioni” elettriche), rappresentati da quello tradizionale a 12 V e da quello aggiuntivo che può essere a 12 V, a 24 V o a 48 V, che lavorano contemporaneamente e in maniera sinergica.
Approfondiamo l’aspetto tecnico solamente sul sistema a 48 V, che è il più diffuso ed è utilizzato, ad esempio, da Renault, Ford, Volvo, FCA, PSA, Land Rover, BMW, gruppo VAG, Hyundai - Kia e Mercedes.
 
La linea a 12 V convenzionale continua a supportare le alimentazioni di tutte le centraline e i dispositivi di bordo (confort, illuminazione, sicurezza, ecc.).
Su molte vetture, è presente ancora il motorino di avviamento classico alimentato sempre a 12 V, utilizzato per i primi avviamenti.
La linea aggiuntiva a 48 V è riservata per il funzionamento del motoalternatore BSG e della relativa batteria al litio (e, sebbene indirettamente, anche di quella al piombo) e viene interfacciata con la sezione a 12 V tramite il convertitore di tensione DC/DC. In applicazioni future, tale sezione verrà dedicata ad alimentare componenti funzionanti direttamente a 48 V, come ad esempio i compressori A/C di nuova generazione (quindi ad azionamento elettrico e non più meccanico) e i “turbocompressori” elettrici (come già presente su alcuni motori Audi), in grado di azzerare praticamente il fastidioso turbo lag.
 

Schema di principio di un sistema Mild Hybrid
 
Il BSG (o anche ISG, Integrated Starter Generator) è un motoalternatore che coniuga le funzioni del motorino di avviamento e dell'alternatore in un'unica macchina elettrica che consente di avviare il motore e di fornire coppia motrice (funzione di starter e di motore elettrico di boost), nonché di generare tensione con il motore termico in moto (funzione di alternatore) e sostituisce in toto l’alternatore convenzionale. Il motoalternatore è collegato all'albero motore mediante una cinghia poli-V. Nei sistemi Mercedes, invece, è costituito da un vero e proprio motore elettrico integrato nel cambio, che però svolge le medesime funzioni.
Come detto, gran parte delle vetture sono comunque equipaggiate di un motorino di avviamento separato a 12 V, con il quale vengono effettuati i primi avviamenti e quelli in presenza di basse temperature esterne.
In sostanza, il BSG unisce le caratteristiche di un alternatore intelligente a quelle di un Kers.
Durante il funzionamento da alternatore, lo scopo del BSG è quello di generare la tensione di ricarica a 48 V della batteria al litio grazie alla coppia del motore termico e, durante le fasi di veleggiamento e frenata, trasformando l’energia cinetica in quella elettrica (fase di recupero, il motoalternatore è un generatore trascinato dall’assale di trazione).
La batteria al litio, a sua volta, fornisce al BSG l’energia per funzionare come motore elettrico in grado di erogare una certa coppia motrice direttamente all’albero motore a cui è collegato, ad esempio durante le fasi di sorpasso (funzione di boost), di riavvio del motore in regime di Start&Stop e di sostenere la trazione durante la marcia a velocità costante e basso carico motore. La potenza che il motoalternatore è in grado di erogare è compresa mediamente tra i 5 e 6,5 kW e coppie di circa 50÷60 Nm come motore, mentre in fase di generazione la potenza va dagli 11 ai 14 kW. Ogni unità è dotata di una centralina elettronica di elaborazione e comunicazione.
Tutti i motoalternatori lavorano con un tendicinghia doppio, che è un elemento fondamentale ai fini del loro funzionamento in quanto deve assicurare sempre il corretto tensionamento È un duplice tenditore perché si ha la necessità di tendere la cinghia in entrambi i versi di rotazione, a seconda che il BSG funzioni da generatore o da motore.
La batteria MHEV agli ioni di litio, oltre ad alimentare il motogeneratore, supporta anche la batteria a 12 V (tramite il converter) per garantire il funzionamento di tutti i sistemi attivi. Con questa strategia il motore termico, nelle fasi di Start/Stop, rimane spento per tutta la durata della sosta temporanea (anche quelle particolarmente lunghe), al contrario dei sistemi con la sola batteria a 12 V che, per permettere al driver di utilizzare tutti i sistemi della vettura, provvedono a riavviare il motore per non far scendere troppo la tensione batteria.
In linea generale, queste batterie sono costituite da un certo numero di celle collegate in serie (che è variabile in base alla vetture), per una capacità totale intorno ai 10 ÷12 Ah. L’accumulatore al litio integra una centralina che ne gestisce il controllo, un fusibile di protezione contro le sovracorrenti (che però non può essere sostituito) ed un relè sezionatore, il quale viene attivato in caso di crash della vettura per evitare pericolosi corti circuiti e possibili incendi della batteria stessa.
 

Batteria MHEV, fusibile di sicurezza (Ford Puma)
 
Un parametro determinante per ogni batteria al litio è la temperatura, che non deve mai salire oltre i 50° C ÷ 60° C. A tal proposito, gran parte di esse sono provviste di un sistema di raffreddamento a ventola.
L’altro componente principale di un sistema MHEV è il convertitore di tensione DC-DC 48/12 V. Realizza la fondamentale funzione di “raccordare elettricamente” le due sezioni di bordo che lavorano a tensioni diverse. Come detto in precedenza, l’alternatore è unico e, per consentire la ricarica di entrambe le batterie, entra in gioco il convertitore il quale trasforma le tensioni a seconda dell’utilizzo che la vettura richiede, abbassando e modulando la tensione da 48 V a 12 V. Naturalmente, oltre la sezione di potenza, il convertitore include una propria centralina per lo scambio e l’elaborazione dati.
In sostanza il sistema Mild Hybrid svolge così un compito di elettrificazione leggera del veicolo, a vantaggio di consumi ed emissioni inquinanti. L’aiuto elettrico, infatti, consente al motore termico di lavorare entro un range di carico ottimizzato all’insegna dell’efficienza (meno carburante, meno emissioni). Con l’utilizzo del BSG, inoltre, lo Start&Stop viene velocizzato ed il sistema acquisisce la possibilità di alzare la soglia di arresto del motore, che avviene già ad una velocità di 30 km/h.
 
I componenti possono avere ubicazioni diverse in base al veicolo considerato.
La batteria trova posto nel vano bagagli posteriore oppure sotto ai sedili del passeggero o del guidatore, mentre il converter viene collocato sotto i passaruota anteriori, all’interno della vettura al di sotto del cruscotto o accanto alla batteria al litio quando questa è montata nel bagagliaio. Per ovvie ragioni, il motoalternatore è montato nel vano motore.
Altri costruttori optano per assemblare tutti i componenti in un unico aggregato, che si trova avvitato al pianale della vettura oppure sempre nel vano bagagli.
 

Aggregato MHEV Land Rover
 
 
Legenda
1.    Connettore del cavo della batteria MHEV
2.    Cavo della batteria di avviamento (12 V positivo)
3.    Cavo della batteria MHEV (positivo)
4.    Convertitore DC/DC
5.    Cablaggio elettrico dell’alloggiamento della batteria MHEV
6.    Ventola di raffreddamento del convertitore DC/DC
7.    Batteria MHEV
8.    Tubo di sfiato della batteria
9.    Ventola di raffreddamento elettrica della batteria MHEV
10.  Cavo di massa
11.   Scatola di derivazione batteria MHEV
12.  Cavi della batteria convenzionale e connettore dei cavi di massa (scocca veicolo)
 
Il sistema può essere completamente diagnosticato tramite la presa OBD della vettura in quanto, come prima sottolineato, tutti i componenti hanno una ECU di controllo, le quali sono interconnesse tra loro e collegate al resto dell’auto tramite una rete CAN specifica (CAN Hybrid). Tutto il sistema MHEV viene coordinato, solitamente, dalla centralina motore, la quale rappresenta perciò il nodo elettronico di riferimento per le eventuali diagnosi del sistema.
Una delle procedure che, ad esempio, il tecnico meccatronico si troverà ad affrontare maggiormente riguarda il reset della condizione di blocco avviamento dopo un evento di crash (quando la batteria viene sezionata per motivi di sicurezza), senza la quale il veicolo non riparte.
Come di routine sarà l’operazione in diagnosi di sostituzione dei componenti MHEV, la quale è necessaria per ripristinare il funzionamento del sistema dopo un guasto che ne abbia richiesto il rimpiazzo.
La diagnosi è importante, si aggiunge, anche per il controllo efficienza della batteria. I diagnostici vengono dotati, per l’appunto, di una ben specifica funzione di report dell’accumulatore al litio, con cui l’operatore è in grado di verificare diversi parametri tra cui la tensione e la corrente di carica (e scarica), la temperatura e, soprattutto, la tensione di ciascuna delle celle della batteria, nell’ottica di verificarne anche il grado di invecchiamento.
 
 

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Riparazioni sbagliate sugli Adas Mercedes

I sistemi ADAS (Advanced Driver Assistance Systems) hanno reso le nostre vetture evidentemente molto più sicure rispetto al passato.
La frenata automatica AEB (Automatic Emergency Brake) è forse uno dei sistemi ADAS più conosciuti perché è quello che interviene più spesso e quello che ha il maggior effetto sulla condotta di guida: in caso di pericolo immediato, il sistema infatti può intervenire anche con frenate molto energiche.
Il cuore del sistema AEB è una centralina radar che è in grado di rilevare con immediatezza gli ostacoli davanti la vettura entro uno spazio di circa 80 – 100 metri e, nel caso, di far intervenire il sistema ABS. Solitamente il radar, per svolgere al meglio le proprie funzioni, viene montato sulla parte frontale delle auto, installato su dei supporti specifici (a loro volta fissati sulla traversa anteriore della scocca) oppure integrati nel fascione della carrozzeria. Ma proprio per questo motivo, la centralina radar spesso è soggetta a danneggiamenti perché molta esposta ad eventuali urti. In questo caso se la centralina riporta dei danni tali da dover essere sostituita oppure semplicemente l’urto ne provoca un disallineamento con il proprio supporto, dopo le dovute riparazioni è d’obbligo effettuare anche una calibrazione del sistema, realizzata attraverso specifiche attrezzature diagnostiche. Si ricorda che il modulo AEB è un sistema di sicurezza e come tale, quando montato a bordo dell’automobile, deve essere perfettamente funzionante, per cui i ripristini che si vanno ad eseguire devono essere compiuti con le attenzioni del caso.
Proprio in merito alla cura che si deve prestare alla riparazione, è interessante esaminare un caso di intervento su Mercedes GLA (modello X156, 2013 - 2019), in cui il sistema di frenata automatica viene denominato Collision Prevention Assist.
La riparazione si è resa necessaria in seguito ad un urto ricevuto dal frontale della vettura in un tamponamento dove, oltre a quelli inevitabili alla carrozzeria, sono stati riportati danni anche ai cavi della centralina radar.
Forse in seguito ad una riparazione frettolosa ed approssimativa, poi però la vettura non è più ripartita e, all’accensione del quadro, improvvisamente il modulo radar ha cominciato letteralmente a fumare! Ma cosa è potuto succedere?
Il primo aspetto preoccupante è stato rappresentato dall’impossibilità di effettuare qualsiasi diagnosi a nessuna delle centraline del veicolo, con il risultato di ricercare il guasto procedendo un po’ alla cieca. Vediamo come venirne a capo, allora, partendo proprio dal modulo radar.
La centralina del radar è alloggiata nella parte interna del fascione anteriore:

Ubicazione centralina Collision Prevention Assist
 
 

Centralina Collision Prevention Assist
 
 
Il radar ha un connettore a 4 fili costituito da una massa, un’alimentazione a 12 V e due collegamenti CAN ed è collegato al resto dell’impianto elettrico/elettronico della vettura tramite un connettore intermedio che si trova anch’esso dietro il paraurti.
La diagnosi e la risoluzione del guasto è riservata ai Professionisti dell'Autoriparazione.
All'interno del Forum, vedremo come diagnosticare il sistema e procedere alla risoluzione dei difetti riscontrati.
Questo il link diretto:
 
 
 

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Pass Thru - Opportunità per l'officina indipendente?

Cos'è nello specifico e cosa occorre fare per poterlo utilizzare.
Il tecnico meccatronico conosce bene quanto sia importante, il più delle volte indispensabile, l’uso di una strumentazione diagnostica per svolgere con professionalità il proprio lavoro.
Gli strumenti che utilizza sono spesso più di uno, questo per avere a disposizione un set di procedure e funzionalità diagnostiche maggiore possibile in modo tale da far fronte alle problematiche tecniche, specie di natura elettronica, che sulle vetture moderne possono essere davvero tante.
Ma, alle volte, anche due o più strumenti non sono sufficienti e l’autoriparatore si trova impantanato tra dubbi ed inesorabili perdite di tempo.
Uno strumento sicuramente potente a cui egli può allora affidarsi è una diagnosi in Pass Thru.
Una diagnosi di questo tipo supera tutte le inevitabili limitazioni degli strumenti multimarca, soprattutto per ciò che concerne la riprogrammazione delle centraline. Ma non solo, un sistema Pass Thru è in grado di raggiungere ogni nodo elettronico della vettura, quindi eseguire la decodifica completa dei codici guasto e svolgere tutte le procedure, di base ed avanzate, di adattamento, calibrazione ed apprendimento.
La diagnosi in Pass Thru è il frutto della normativa Euro 5 che, oltre definire i limiti emissivi, introdusse anche l’obbligo per i costruttori di auto di fornire agli autoriparatori indipendenti la possibilità di disporre delle informazioni e tecnologie necessarie per una corretta manutenzione e diagnosi dei veicoli prodotti, cosa consentita anche nei primi due anni di garanzia legale del mezzo.
Per le officine generiche veniva così normato il diritto ad avere accesso sia alle banche dati tecniche del costruttore, sia a poter utilizzare strumenti con standard di comunicazione costituiti dai protocolli SAE J2534 ed ISO 22900, idonei a diagnosticare tutte le ECU delle vetture.
In sostanza, tali protocolli sono dei linguaggi universali con cui un’interfaccia diagnostica anche non originale può scambiare dati in maniera bidirezionale con le centraline di ogni automobile di ogni costruttore.
Praticamente, il Pass Thru è in grado di tradurre i dati elaborati con i protocolli specifici delle centraline in un messaggio che è interpretabile da un qualsiasi hardware, permettendo la diagnosi e la programmazione flash di ogni centralina elettronica.
La Euro 5 impose alle case costruttrici l’obbligatorietà di riprogrammazione delle sole centraline inerenti il sistema antinquinamento (E-OBD) ma, scorgendo possibili e facili business, nel tempo la maggior parte dei brand auto ha scelto di estendere il Pass Thru a tutta l’autovettura.
I costruttori hanno però posto anche alcune restrizioni, nello specifico per il sistema immobilizzatore e per le programmazioni chiavi, ossia per quei sistemi che possono essere sfruttati malevolmente per il furto del veicolo.
Per colmare questo svantaggio, l’officina si può «accreditare», ossia ottenere una sorta di «certificazione» da parte del costruttore che qualifichi la propria attività con specificati requisiti di sicurezza ed onestà.
Ciò è possibile tramite la registrazione direttamente presso gli stessi costruttori, presentando alcuni documenti che attestino i requisiti di integrità finanziaria e giudiziaria. Oppure effettuando l’iscrizione al «SERMI», ossia l’associazione europea creata per selezionare, approvare ed autorizzare le officine indipendenti all’accesso ai dati inerenti la sicurezza delle autovetture.
Tali requisiti vengono determinati attraverso specifiche ben precise, come le ISO 20828 ed ISO 15764.
 
Ma cosa bisogna fare per poter effettuare una diagnosi in Pass Thru?
In primis, tale modalità diagnostica è realizzabile solo su veicoli Euro 5 ed Euro 6, a cui vanno aggiunte alcune eccezioni per vetture Euro 4 (ad esempio, Mercedes e BMW).
Il passo iniziale è quello di creare un “account” (del tecnico o dell’officina) presso il sito web di ogni costruttore con cui si intende lavorare; per ottenerlo si dovranno avere come requisiti fondamentali una mail valida ed una partita IVA di tipo europeo (intracomunitaria). Si deduce che si dovranno avere tanti account quanti sono i marchi con cui si opererà.
Per alcuni costruttori (il gruppo VW, ad esempio), come già menzionato, è obbligatorio ottenere un account di secondo livello per intervenire su dispositivi inerenti la sicurezza e per cui sarà obbligatorio fornire, tra l’altro, copia del certificato penale e dei carichi pendenti delle persone da abilitare a tali operazioni.

 
Come per qualsiasi strumento di diagnosi, è necessario utilizzare un hardware il quale sarà in questo caso costituito da un pc fisso o portatile (ma per praticità e perché dotato di una certa autonomia elettrica è preferibile il secondo) e da un’interfaccia di collegamento con il veicolo (detta anche VCI, Vehicle Communication Interface) che naturalmente deve essere predisposta per il protocollo SAE J2534 o ISO 22900.
Il computer deve avere buone caratteristiche HW, ossia contare su un processore abbastanza prestazionale (Core i3 Intel, pari o superiore), una memoria RAM di almeno 8 Gigabyte (per configurazioni migliori almeno 16 Gigabyte), il tutto completato da un hard disk minimo da 500 Gigabyte, l’optimum sarebbe averlo di tipo allo stato solido (sono molto più rapidi). Si possono usare anche hard disk esterni di pari requisiti.
Un aspetto fondamentale è la linea internet, è quasi superfluo dire che si ha bisogno di una connessione che assicuri una certa velocità e stabilità; è possibile avvalersi di una connessione Wi-Fi, ma in taluni casi, vedi BMW, per operazioni più complesse (la programmazione) è tassativo collegare il cavo LAN al PC.

Il grosso vantaggio del Pass Thru è dato dal fatto che come interfaccia possono essere usate le VCI dei più diffusi strumenti commerciali (Bosch KTS, Hella Gutmann, Texa, Autel ad esempio), tutte già dotate dei protocolli necessari. Tali interfacce vengono impiegate solo come hardware e non vanno usate con il loro SW diagnostico, il quale potrà anche essere scaduto o dismesso dall’officina.
Per poter funzionare, però, per ogni VCI che si vorrà utilizzare (di volta in volta si può scegliere quale preferire) si dovranno installare i relativi driver sul computer, come si fa per un stampante. Il software necessario è scaricabile dai siti degli stessi produttori dell’attrezzatura ed è gratuito.
Inoltre sono disponibili anche interfacce, non legate ad alcun SW diagnostico, che supportano in maniera completa i protocolli Pass Thru e dalle prestazioni veramente elevate. Tra le altre si possono citare il Cardaq della Drew Technologies e il Passthru+ XS 2G del produttore Actia.
Messa a punto la parte HW, lo “strumento” Pass Thru necessita di un SW. La peculiarità risiede nel fatto che si userà quello originale, quindi il tecnico dovrà installare sul PC i programmi di diagnosi dei vari costruttori, i quali sono scaricabili, generalmente in via gratuita, dai portali web di ciascun marchio. È ora evidente come una diagnosi Pass Thru possa superare tutti i limiti di uno strumento commerciale.
 

 
Se il SW è gratuito, non lo è il collegamento con la vettura. L’ultimo step, infatti, sarà quello di acquistare il tempo d’uso del programma diagnostico, che può essere ampiamente frazionabile: si possono scegliere soluzioni ad ora, giornaliere, settimanali, mensili o annuali. Alcuni costruttori, scelgono invece di vendere un “token” (gettone) temporale, di una certa durata prefissata.
L’acquisto va effettuato sempre sul sito del costruttore ed avviene esclusivamente tramite carta di credito di tipo non prepagata. Solo per alcuni brand sono accettate altre forme di pagamento (come ad esempio il PayPal). È bene ricordare che i costi sono assai differenti da marchio a marchio e non esiste un prezzo unico per tutti i costruttori.
 
In definitiva, il meccatronico potrà utilizzare un SW di diagnosi originale tramite una qualsiasi interfaccia purché rispondente ai requisiti Pass Thru, con l’innegabile vantaggio di avere a disposizione (non sempre al 100%, ma comunque quasi completamente) tutte le funzionalità dello strumento delle officine a marchio.  Si può parlare, allora, di una sorta di officina indipendente ma allo stesso tempo autorizzata. 

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Automotive

Filtro Abitacolo: quale protezione possiamo attenderci?

Il Filtro Aria Abitacolo è responsabile della qualità dell’aria all’interno della vettura.
Ma come si comporta nei confronti dei batteri?
Quali sono i trucchi per identificare un prodotto di qualità?
Dopo l’introduzione del mese scorso, continua l’approfondimento del Blog di Autodiagnostic sul Filtro Aria Abitacolo Auto, con degli interessanti test sul campo, ed alcune ‘dritte’ che meccanici ed appassionati di motori certamente apprezzeranno.
Anche in questa occasione, a guidarci è Andrea Campi, titolare della Mistral Air Ventilation Filter, azienda specializzata nel settore, e decisamente ‘esperta’: a Febbraio 2022, infatti, ha festeggiato i 30 anni di attività!
Andrea, nella nostra precedente chiacchierata, hai chiarito come il Filtro Abitacolo sia l’unica barriera a protezione di ciò che respiriamo all’interno della vettura. È quindi una garanzia contro i batteri?
“Diciamo che le aspettative verso un prodotto di qualità possono anche essere legittimamente elevate, come vedremo; ma forse è bene precisare innanzitutto cosa non ci si debba aspettare.
Partiamo da un presupposto importante: solo i filtri assoluti possono definirsi con cognizione di causa (ovvero come da normativa) ‘antibatterici’. Prendiamo l’esempio dei filtri Hepa H14: riducono del 99,995% le particelle di 0.3 micron; per questo hanno buon gioco contro i batteri: avendo questi una dimensione superiore, vengono trattenuti al 100%”.

 
Entriamo nello specifico, Andrea: allora, quali benefici è lecito attendersi sul fronte batteri?
“Un prodotto di livello elevato può ridurre del 90-95% le cariche batteriche. È un dato decisamente rassicurante, ma anche prezioso: dà una dimensione concreta dell’efficacia, al di là di tutta la teoria su come si debbano progettare i Filtri Aria Abitacolo. I numeri a volte possono essere molto chiari ed incisivi, sia per gli addetti ai lavori che per gli utilizzatori finali.
È altrettanto interessante spiegare come siamo arrivati a tali conclusioni. In Mistral crediamo molto nell’importanza di realizzare test specifici e mirati. Recentemente, ad esempio, abbiamo commissionato un’indagine ad una azienda certificata, per valutare la capacità di trattenere i batteri dei nostri prodotti. Abbiamo preso in esame due vetture diverse, per categoria ed usura, con oltre 15.000 km percorsi. Abbiamo estratto i due Filtri Aria Abitacolo e, attraverso dei tamponi, abbiamo prelevato del materiale sulla superficie d’entrata e d’uscita dei filtri stessi; lo abbiamo successivamente analizzato grazie alle piastre Petri, per valutare le culture batteriche presenti, ottenendo i numeri anticipati: ovvero, tra lato di entrata e lato di uscita del Filtro Abitacolo, le cariche batteriche sono inferiori di oltre il 90-95%.
Quel 5% di oscillazione dipende dal fatto che le due vetture testate montano filtri con superfici diverse: quanto maggiore è la superficie, quanto più elevata è l’efficienza.
I risultati ottenuti con il test sui batteri, quindi, sono chiaramente di pregio, ma non inattesi. Una verifica precedente, infatti, aveva certificato come i filtri Mistral trattengano oltre il 50% delle polveri inferiori a 0,3 micron, che per altro sono le più nocive. I batteri sono più grandi, ed è quindi logico che vengano fermati. In definitiva, l’esperimento sui batteri è stato una piacevole conferma, nel solco della nostra tradizionale attenzione alla qualità ed alla cura della salute dei nostri clienti”.
 
Tra i dettagli più sottovalutati per ottenere queste performance, c’è la capacità del Filtro Abitacolo di aderire perfettamente al proprio alloggiamento.
“Non potrei essere più d’accordo. È incredibile come questo aspetto, in realtà decisivo, sia invece spesso trascurato. Eppure, è intuitivo: se il Filtro Abitacolo non ha una solida tenuta, l’aria passa ugualmente e tutto il processo di filtrazione viene vanificato!
C’è un test molto semplice, ‘casalingo’ per così dire, che si può realizzare, per valutare la qualità di un Filtro Abitacolo in questo senso: rimuovetelo e osservate i bordi; se sono bianchi, ‘intonsi’, significa che l’aria non è passata, e quindi siete stati adeguatamente protetti.
In Mistral ci preoccupiamo molto di questi particolari, al punto di aver sviluppato delle tecnologie di nostre proprietà: la Flexy Seal e la Soft Seal. I nostri prodotti si flettono facilmente per entrare nell’alloggiamento, ed una volta rilasciati all’interno di esso, i bordi aderiscono perfettamente.
Per altro, queste caratteristiche, unite ad un’altra nostra invenzione, la Maniglia Smart, semplificano e rendono rapide le procedure di installazione e di sostituzione Filtro Abitacolo: benefici molto graditi dai nostri amici Meccanici!”.
 
Ringraziamo Andrea Campi per aver condiviso il prezioso punto di vista di un produttore specializzato. Nuovi approfondimenti tecnici ci aspettano nei prossimi articoli del Blog.
Nell’attesa, per chi volesse saperne di più sui Filtri Aria Abitacolo, il consiglio è di visitare il Sito di Mistral e seguirne la Pagina Facebook.
 
 

Mistral Air Vent. Filter

Mistral Air Vent. Filter

Automotive

Filtro aria abitacolo: sai riconoscere la qualità?

Il Filtro Aria Abitacolo è uno strumento sottovalutato, eppure prezioso per la nostra salute in auto. Scopriamo come riconoscere un prodotto di qualità.
Il Filtro Aria Abitacolo è uno strumento poco conosciuto, tanto sottovalutato quanto fondamentale: da esso, infatti, passa (letteralmente) la nostra salute in auto.
La semplicità è solo apparente: in realtà, il Filtro Aria Abitacolo ha una complessità fatta di preziosi e fondamentali dettagli.
Come riconoscere un prodotto di qualità, allora? Quali parametri fanno la differenza, anche nel lavoro di tutti i giorni del meccanico?
Per rispondere a queste domande, e per scoprire questi insospettabili alleati dei nostri polmoni, abbiamo realizzato una serie di approfondimenti, per voi lettori del blog di Autodiagnostic. A guidarci, in questo articolo ed in altri che seguiranno nelle prossime settimane, sarà Andrea Campi, titolare della Mistral Air Ventilation Filter, azienda specializzata in filtri aria abitacolo, attiva dal lontano 1992.
 
 
Andrea, benvenuto sul blog di Autodiagnostic e grazie per la tua disponibilità.
Puoi introdurci al mondo del Filtro Aria Abitacolo?
“Con piacere, e grazie a voi per questa chiacchierata!
C’è un paragone che faccio sempre per spiegare con semplicità ed immediatezza l’importanza di questa categoria di prodotti. Dovete pensare all’automobile come ad una aspirapolvere: preleva l’aria dall’esterno, la riscalda o la raffredda, e la immette nel veicolo. Chiaramente, quell’aria è inquinata, e quindi occorre ci sia una barriera – un filtro, appunto! – a protezione di ciò che respiriamo all’interno della vettura.
È sorprendente quanto poco ci si preoccupi della qualità di quella barriera.
Da parte nostra, c’è un’autentica ossessione verso le performance: studiamo, analizziamo, sviluppiamo tecnologie esclusive, aggiungiamo costantemente migliorie. Molte di queste vengono introdotte ascoltando i consigli dei meccanici, che spesso, ‘agendo sul campo’, possono darci spunti interessanti.
Al di là dell’orgoglio e della ambizione di realizzare prodotti di alto livello, per Mistral è innanzitutto un fatto etico: c’è di mezzo la salute dei nostri clienti, le prestazioni devono essere di assoluta eccellenza”.
 
 
Come si caratterizza un Filtro Aria Abitacolo di valore?
“Innanzitutto, come precisavate, questi prodotti hanno una sorprendente complessità.
Un primo elemento premiante riguarda la qualità dei materiali filtranti. In Mistral, li selezioniamo accuratamente, adottando materiali ad elevatissima quantità di Carbone Attivo, di origine vegetale, derivato dalle noci di cocco: il peso abituale è di 550 gr/mq.
Il secondo tratto distintivo è legato alla struttura del Filtro Aria Abitacolo. per i filtri combinati con Carbone Attivo vengono impiegati quattro strati: un primo strato di materiale filtrante sintetico, estremamente efficiente contro i particolati; uno strato composto da micro e nanofibre (il Meltblown, divenuto suo malgrado “famoso” per l’impiego nelle mascherine); uno di granuli di Carbone Attivo selezionato, ad elevata superficie (superiore ai 1000 mq/gr); infine, un tessuto di contenimento, anch’esso sintetico. Grazie alle migliaia di gallerie che lo compongono, il Carbone Attivo si rivela uno straordinario materiale adsorbente.
Infine, è decisiva la tenuta nell’alloggiamento: deve essere solida! Puoi avere i migliori materiali filtranti del pianeta, e la struttura più elaborata, ma se l’aria passa ai fianchi della cartuccia, siamo punto e a capo! Per questo, abbiamo sviluppato delle tecnologie di nostra invenzione e proprietà – Flexy Seal e Soft Seal – che garantiscono flessibilità e perfetta aderenza, agevolando anche il lavoro dei meccanici nella rimozione e nella installazione.
In generale, ogni nostra innovazione viene applicata a tutta la nostra gamma, senza differenziare tra prodotti di fascia alta e fascia media o bassa: e qui torniamo al discorso di prima sull’approccio etico”.

 
Ringraziamo Andrea Campi per questa interessante introduzione al mondo del Filtro Aria Abitacolo, e vi diamo appuntamento ai prossimi articoli del Blog: scopriremo i dettagli di questi prodotti, anche grazie a dei test sul campo che ci permetteranno di valutare la capacità di ridurre batteri e sostanze nocive!
I più curiosi però possono già scoprire di più sul Filtro Aria Abitacolo attraverso il Sito e la Pagina Facebook di Mistral.

Mistral Air Vent. Filter

Mistral Air Vent. Filter

Automotive

Diagnostica Delphi Technologies: diffidate dalle imitazioni

Un’apparecchiatura diagnostica di alta qualità è senz’altro uno degli strumenti più preziosi a disposizione dei meccanici.
La possibilità di collegare una spina a un veicolo ed eseguire un software capace di identificare esattamente la fonte di un problema permette di risparmiare molto tempo e denaro. Una diagnosi corretta dipende chiaramente dalla precisione delle informazioni fornite dal software diagnostico e dalla capacità dell’hardware di rilevare i dati del veicolo.
Sei assolutamente certo che i dati diagnostici che utilizzi siano dati validi e aggiornati?
Sei sicuro che il tuo strumento diagnostico sia in grado di condurre i test corretti e decodificare i messaggi trasmessi dal veicolo?
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Delphi Technologies

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Difetti Auto

P2463 Toyota: cosa fare quando non si cancella

In questo articolo vedremo come può intervenire l’officina quando si presenta l’errore P2463 in diagnosi motore Toyota, riferito al sistema antiparticolato e il DTC non si cancella.
Quali sono le auto in cui è possibile riscontrare questo DTC?
Modelli Toyota:
YARIS COROLLA URBAN CRUISER VERSO AURIS IQ Codici Modello: NDE150/180 – NUJ10 – NLP110/115/121/90 – NSP130
 
Codice errore P2463 a cosa si riferisce?
Il DTC P2463 oggetto di questo approfondimento, è riferito al sistema di abbattimento delle emissioni PM10, in anomalia per un accumulo eccessivo di particolato nel filtro.
Questo codice errore nei modelli sopra indicati, potrà essere presente e non cancellabile.
Se il filtro antiparticolato è intasato per oltre il 149% la centralina di controllo motore valida l’errore, limita la potenza del propulsore e accende la spia MIL.
 
Perché avviene un accumulo eccessivo di particolato nel DPF?
Sono molteplici le cause di un accumulo eccessivo di ceneri nel filtro antiparticolato, per questo motivo risulta necessario, prima di effettuare una rigenerazione su strada o forzata, andare per STEP analizzando diversi fattori:
Verificare altri codici errore presenti in diagnosi Monitorare la fase di riscaldamento del motore Procedere ad un’accurata verifica dei componenti legati al sistema DPF Conoscere l’uso che viene fatto dell’auto Queste sono solo alcune delle tante verifiche che l’officina dovrà effettuare prima di concentrarsi sul filtro DPF.  
Verificare altri codici presenti in diagnosi.
Questo passaggio è fondamentale per capire se altri componenti potrebbero generare una maggiore fumosità del motore.
Ad esempio una valvola EGR che non chiude correttamente, un manicotto del sistema di sovralimentazione fessurato, oppure iniettori che non polverizzano più correttamente.
 
Monitorare la fase di riscaldamento del motore.

 
A volte non viene preso in considerazione questo aspetto fondamentale per la rigenerazione automatica del filtro antiparticolato.
Il sistema effettua periodicamente diverse rigenerazioni autonomamente, il tutto è calcolato per mantenere il filtro libero evitando la completa saturazione. Queste rigenerazioni non avvengono nel caso in cui il motore non raggiunge una temperatura di almeno 80°.
 
 
Un’accurata verifica dei componenti legati al DPF.

Per evitare che l’auto torni in officina con il medesimo errore è fondamentale verificare i componenti che gestiscono e controllano il sistema, tipo ad esempio:
sonde di temperatura montate prima e dopo del filtro antiparticolato; i tubi di collegamento tra filtro e sensore pressione differenziale, non devono presentare strozzature (smontarli e soffiarli è d’obbligo), o fessure che possono mettere in crisi il sistema.  
 
Conoscere l’uso che viene fatto dell’auto.
 

Anche questo aspetto non è assolutamente da trascurare.
Se l’auto viene usata per brevissimi spostamenti e la temperatura del motore non ha il tempo di arrivare almeno sopra gli 80° e nuovamente viene spenta, sarà impossibile per il sistema effettuare rigenerazioni spontanee.
Ascoltiamo il cliente cercando di capire l’uso che ne fa dell’auto, in maniera da indirizzarci verso la ricerca del perchè questo dpf non riesce a rigenerarsi autonomamente. Probabilmente se l’auto viene usata per brevissimi tratti, non è l’auto ideale per lui.

 
Procedere alla riparazione.
Nel caso in cui tutti i controlli suggeriti siano stati effettuati e il codice errore P2463 non risulterà essere cancellabile, occorrerà eseguire alcune semplici istruzioni.
Questo DTC viene validato da un calcolo eseguito dalla centralina controllo motore, quest’ultimo se non viene ripristinato provocherà la riaccensione della Spia Mil con presenza del codice instantaneamente.
Seguire le istruzioni per ripristinare il calcolo che genera il P2463 nella ecu motore:
Portare il motore ad una temperatura di oltre 70° Tramite lo strumento di diagnosi attivare la rigenerazione forzata del DPF Spegnere il quadro e attendere almeno 1 minuto Accendere nuovamente il quadro e cancellare l’errore P2463 Da ora in poi il veicolo è pronto per effettuare una rigenerazione su strada del DPF  
Discussioni all'interno del Forum
Sono molteplici i casi affrontati dalle officine, riferiti a questo errore e riportati all’interno del Forum.
Di seguito troverai alcune discussioni che trattano l’argomento.
 
Scopri tutte le discussioni inerenti il P2463 presenti nel Forum

Autodiagnostic

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