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Acquisto diagnosi affrettata, ci sono cascato e ora?


Ospite gherardi

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Ospite gherardi

Buongiorno, sono Mauro vi riassumo brevemente quello che mi è successo per vedere se si riesce a trovare un soluzione.

Il 26/04/2016 passa un rappresentante di una ditta di diagnosi e mi viene proposto di avere lo strumento pagando semplicemente 186 euro per l'attivazione e poi 846 euro l'anno dividibili mensilmente, il tutto senza legami di tempo, cioè potevo tenere il tester anche solo un'anno pagando semplicemente quello riportato sopra, in fiducia firmo e gli consegno l'assegno per l'attivazione.

Il giorno dopo leggendo bene il contratto vedo scritto tutto l'opposto, cioè che la durata del contratto era di 8 anni, le soluzioni quindi sono: o pagare 6770 euro per acquistare il tester, accettare un finanziamento di 5 anni presso di loro, o disdire il contratto pagando una penale del 25% sul totale. Essendo una nuova apertura il finanziamento non melo accettano, quindi in accordo col responsabile commerciale decido di pagare una penale di 1500 euro ivata divisibile in 5 rate, il problema è che io non ero a cososcenza del vs forum fino ad ora ed ho gia pagato la prima rata. Possibile che non ci sono altre soluzioni per recedere il contratto o quanto mese poter risparmiare questi soldi?

Grazie

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  • 2 settimane dopo...
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Miglior contributo in questa discussione

  • Avv. Beccari Piergiorgio

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Miglior contributo in questa discussione

La vicenda riportata nella domanda che oggi andiamo a trattare, offre la possibilità di svolgere alcune considerazioni relative ad importanti aspetti della vicenda contrattualistica.

In genere, e come è abbastanza noto, l’effettiva sottoscrizione dell’accordo viene in genere preceduta da una fase di trattative preliminari (cioè i negoziati antecedenti la stipula) durante la quale, ai sensi dell’art. 1337 c.c., le parti devono comportarsi secondo buona fede, ossia rispettare il dovere generale di correttezza e reciproca lealtà che permea la condotta dei soggetti futuri contraenti.

La buona fede rileva come regola di condotta in senso oggettivo e, quindi, richiede un comportamento onesto per salvaguardare gli interessi dell’altra parte; di contro, si ha la malafede, cioè un comportamento illecito o, più semplicemente disonesto.

Nella fase delle trattative, parlare di buona fede sta a significare che occorre sempre rispettare il dovere di informare l’altra parte su ogni situazione di rilievo riguardante l’affare; se una delle parti, nello svolgimento delle trattative (o del contratto), tace volontariamente una circostanza che, conoscendola, avrebbe determinato nell’altra parte la volontà a non concludere l’accordo, sicuramente sorge in quest’ultima un ragionevole convincimento contrario alla realtà.

E, di conseguenza, ci troveremmo in presenza della violazione dell’obbligo generale di correttezza sancito dal richiamato articolo del codice civile.

Allora è facile capire come una violazione di questo generale principio normativo, possa avvenire mediante qualsiasi forma di raggiro che altera la volontà contrattuale della vittima (c.d. dolo).

In tali casi, il dolo potrebbe essere causa di annullabilità del contratto quando è determinante del consenso, cioè quando il raggiro induce il soggetto a stipulare un contratto che, altrimenti, non avrebbe mai concluso.

Il dolo, in particolare, consiste nelle volontaria trasgressione del dovere giuridico, ossia nell’aver agito con la coscienza e volontà di causare l’evento lesivo della libertà negoziale.

In buona sostanza, il risultato di questa azione dolosa è quello di far cadere il soggetto in errore; l’azione dolosa può riguardare i presupposti, i motivi, gli elementi, gli effetti del contratto in modo da far credere alla vittima dell’azione illecita che gli spettino diritti, obblighi e/o condizioni diversi da quelli realmente spettantegli.

Il raggiro può essere messo in atto con qualsiasi mezzo e, quindi, anche con la menzogna la quale integra una fattispecie dolosa se risulta idonea ad influire sul consenso dell’altro soggetto in quanto ingenera una rappresentazione alterata della realtà.

Si può ben dire che la menzogna è l’elemento oggettivo del raggiro; è l’idoneità della condotta a generare l’inganno.

Anche il silenzio e la reticenza possono integrare il dolo; infatti, il silenzio tenuto in una determinata circostanza potrebbe essere l’espressione di un comportamento preordinato e finalizzato al trarre in errore la controparte.

Altro importante istituto a cui la fattispecie in esame fa riferimento, è quello del recesso.

Il recesso può essere definito come un atto unilaterale con cui una delle parti chiede il proscioglimento dal vincolo contrattuale, ad esempio a causa di un ripensamento o per varie anomalie sopraggiunte.

Il recesso non deve confondersi con l’altro e diverso istituto della risoluzione del contratto la quale permette lo scioglimento dell’accordo con il consenso di entrambe le parti, nelle ipotesi di inadempimento, impossibilità sopravvenuta o per eccessiva onerosità.

Quindi, il recesso consiste nella decisione di una delle parti di provvedere allo scioglimento, totale o parziale, di un contratto a causa di anomalie verificatesi al momento della conclusione dell’accordo stesso.

E’ l’estinzione delle obbligazioni contrattuali in senso unilaterale, cioè senza il consenso della controparte e, in genere, senza andare incontro a sanzioni.

Ma proprio perché rappresenta una deroga al principio sancito dall’art. 1372 c.c., secondo il quale il contratto può essere sciolto solo per mutuo consenso o per le altre cause ammesse dalla legge, il diritto di recesso non è facoltà normale per i contraenti, ma presuppone che essa sia specificatamente attribuita per legge o per clausola contrattuale.

Quindi, al di fuori delle ipotesi direttamente previste dalla legge (ad es. il recesso nella disciplina del codice di consumo), tale diritto (c.d. recesso volontario o convenzionale) deve essere oggetto di una precisa clausola contrattuale, redatta in termini inequivoci e tali da non lasciare alcun dubbio circa la volontà di inserirla nel negozio sottoscritto.

Ancora e non meno importante, il diritto di recesso – data la sua natura di eccezione al principio generale dell’irrevocabilità degli impegni negoziali (art. 1372 c.c.) – deve essere ancorato ad un termine preciso o, quanto meno, sicuramente determinabile.

Il che significa che nei contratti ad esecuzione immediata, il recesso potrà essere esercitato fino a quando il contratto non ha avuto un principio di esecuzione mentre, in quelli ad esecuzione periodica, l’esercizio di tale facoltà può essere anche successiva ma non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione.

Infine, e sempre in linea di principio generale, le parti possono prevedere, all’interno del regolamento contrattuale, un corrispettivo per il diritto di recesso.

Si tratta della c.d. multa penitenziale la quale assolve alla sola finalità di indennizzare la controparte nell’ipotesi di esercizio del diritto di recesso da parte dell’altro contraente.

Venendo ora alla fattispecie concreta posta alla mia attenzione, occorre preliminarmente dire che l’odierna risposta viene formulata dopo aver preso visione del documento contrattuale originale, fornitomi dal Sig. Mauro il quale ringrazio per tutte le informazioni date e per la preziosa collaborazione.

Per quanto riguarda l’aspetto relativo alla proposta contrattuale difforme dal contenuto del contratto medesimo, in effetti si potrebbero ritenere integrati i presupposti per poter eccepire un contratto concluso a seguito di un comportamento doloso e non conforme al rispetto del generale principio della buona fede nei rapporti contrattuali, tenuto dal rappresentante della ditta venditrice dello strumento di diagnosi.

Il vero problema, nel caso che ci interessa, è che davanti all’autorità giudiziaria, credo alquanto difficile e complicato riuscire a dimostrare quanto sopra poiché non ci sono documenti che possano dare valore probatorio ad una simile ricostruzione (ad es. e-mail dove il proponente indicava prezzi e modalità di pagamento diverse da quelle poi riportate a contratto).

Sarebbe quindi la classica situazione della “mia parola contro la tua”, senza considerare, poi, che il contratto è stato regolarmente sottoscritto in tutte le sue parti e, di conseguenza, vale la presunzione generale in base alla quale la firma apposta ad un contratto, integra la conoscenza del contenuto del medesimo.

In ordine alla facoltà di recesso, l’accordo espressamente prevedeva tale diritto a favore del Cliente, prima che l’accordo medesimo ricevesse un principio di esecuzione, a fronte del pagamento di una multa penitenziale pari al 25% del corrispettivo contrattuale.

Da un punto di vista formale ed alla luce dei principi sopra enunciati, il diritto di recesso è stato correttamente inserito nel testo dell’accordo; inoltre, ha ricevuto ulteriore sottoscrizione ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. (clausola vessatoria e condizioni generali di contratto).

Forse, l’unica eccezione giuridica realmente percorribile di fronte all’autorità giudiziaria sarebbe stata quella di contestare l’eccessiva onerosità della multa penitenziale validamente inserita; ma ciò – in caso di accoglimento - avrebbe ugualmente condotto ad una sentenza di condanna al pagamento del corrispettivo richiesto dalla controparte a titolo di multa penitenziale, seppur nella diversa misura stabilita in sede processuale.

Pertanto, credo che la soluzione transattiva trovata rappresenti la miglior soluzione possibile, senza ulteriori aggravi di costi che una causa civile avrebbe potuto comportare.

Rimane il fatto, banale ma vero, di prestare sempre la massima attenzione ad ogni documento che si va a sottoscrivere, magari anche attraverso la consulenza di un legale di fiducia, al fine di evitare situazioni spiacevoli come quella esaminata.

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